mercoledì 3 settembre 2014

TX. Il rispondo, ma forse mi sbaglio

Perché non voli?
Mi ricorda il perché non parli? di Michelangelo rivolto al suo David. Il mio Perché non voli?, rivolto a te, non ha nulla a che fare con David o Michelangelo. Tuttavia, Roland Barthes mi insegnò che la domanda è una richiesta, tutte le volte che chiediamo qualcosa a qualcuno, in quel qualcuno, si denota sempre una certa sofferenza -chissà cosa vuole questo ora?. Solo nostra Madre non ha questo sentimento, Lei ci ha messo nel Mondo e si sente responsabile della nostra Felicità. Si sente responsabile della nostra caduta nel Mondo, attraverso Lei. Si sente responsabile.
   Allora no, non sarà più una domanda. Resterà senza interrogativo. Tradirò le mie proprie curiosità, e le lascerò cadere nel grembo della indifferenza che lascia uno spazio ampio e ambiguo di chissà. Domande celibi. Presunte affermazioni per non offendere l'interlocutore. Bisogna essere veramente cauti per non offendere l'Altro, l'ho imparato, ma non è facile applicarlo. Ermeneutica cauta. Difficile.
I bambini fanno un sacco di domande, quando hanno iniziato a fare delle domande a me; ho capito di non essere più una bambina, ma ho mantenuto quella sensazione di non dare mai una risposta corretta -il rispondo, ma forse mi sbaglio-, no, non esiste risposta corretta. Prometto, lo giuro -peccato mortale- non farò più domande, ma non per paura di riceverne a mia volta, e sbagliare. No, non si sbaglia mai. Non si sbaglia mai.   
   Con cautela ti sfiorerò senza toccarti, mi metterò a nudo per non spogliarti, aspettando un tuo guardarmi dal di fuori e dal di dentro del paradiso, di passanti, nel lutto dell'incomunicabilità, che ci tende in avanti.
   La cosa più importante del Volo, la parte più bella del Volo, è il decollo. Sì. Decollare, poi, è, anche, perdere la testa. Essere decollati è staccarsi da la terra. Quel momento è uno dei momenti che apprezzo di più nella mia vita, da qualche tempo a questa parte. Ti stacchi, e sei solo. In quel momento e non durante il volo o l'atterraggio. Solitudini condivise in volo.
Atterraggio porta seco l'infinita pesantezza tutta di ciò che siamo. Corpo. Orecchie fischiano di pensieri persi in altrui paure inutili, e gambe gonfie di claustrofobiche correnti sanguigne in marine rinchiuse e pigre.
   Qualche volta ho avuto paura a mia volta. Mettevo a la prova quello che sapevo diverso, verso -me. E mi sapevo diversa, altra -da me. Non c'è bisogno di volare per mettersi alla prova, ma è il Sublime, l'Infinito nel Finito -non ricordo l'Autore di questo pensiero.
Questa volta volerò sola, in realtà voliamo sempre soli, noi. Ho sempre provato una certa invidia per i gemelli. Loro non nascono soli: cadono insieme, dal ventre. Tuttavia, non desidero intendere il volo come metafora di vita -o di morte-, il volo è semplicemente sentire, e sentire ne ha molte da dire -vorrei un asterisco qua: *...  Lui rimanda a un cane che si morde la coda, lì si ritrova un po' di quel dire che ha da dire Sentire, ma non tutto, sempre nelle favole per farci addormentare. Percezioni.
   Sai, una volta tagliando dell'insalata ho trovato una chioccia piccolissima. La chiamai Tximeleta. In Euskera la tx si legge ci, e Tximeleta  significa farfalla. La Cara Psychè. Tutti mi chiedevano il perché di quel nome; rispondevo che Lei voleva volare. Rendevo la sua vita molto triste e scialba. Romantica, nel senso letterario e non nel suo significato letterale  contemporaneo. Una farfalla che non può volare. 
Usciva dalla sua chioccia solo con me. Si staccava dal suo calice di vino solo con me. Sì, viveva in un calice di vino con una calza a rete rosa antico sopra, in mia assenza.
Mi rendeva triste e non riuscivo a liberarla. Un giorno la staccai dal suo calice e pensai ma ora sta volando. Volava portata dalle mie mani. Anche noi non abbiamo ali ma possiamo volare.


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